Altroregno
“Mio Signore, è ora di
alzarsi!”
In tutta risposta, John
Jameson si rigirò nel letto fino ad affondare la faccia nel cuscino. “No!”
La voce dalla stanza adiacente,
mescolata al suono di una piccola cascata scrosciante, non aveva nulla di
umano, ma riuscì a suonare ancora più eccitata, giocosa, mentre ripeteva, “E’
Giorno di Preghiera! Non avevi detto che ti piaceva mescolarti alla gente?”
L’uomo prese un altro
cuscino e se lo infilò sulla testa. “Non così! Ieri abbiamo fatti tardissimo!
Non sono un prete! E da ragazzino odiavo andare in chiesa! Voglio tornare a
giocare a guardie e ladri nel tuo caveau! Sono il dio e decido io!”
“Nel Giorno della
Preghiera decidono i fedeli. E poi abbiamo ancora qualche minuto da passare insieme…”
Quando il cuscino venne
via, la figura che si mise seduta era quella più familiare dell’uomo-lupo,
Stargod. “Adesso sì che ragionia—“
E lì cadde muto.
Perché quello che aveva di
fronte, seduto sul letto, non poteva esistere. Non su Altroregno.
Un cane.
Un cane terrestre, senza
se e senza ma. Un bastardino non dissimile da un bracco, dal pelo raso, di un
bianco immacolato, che lo guardava con un sorrisone ansante dal letto su cui
stava seduto come se fosse la cosa più normale del mondo.
Un cane terrestre con un
collare giallo, una medaglietta a forma di pentagono con una ‘S’ rossa
stilizzata incisa nell’oro. E una mantellina scarlatta con lo stesso simbolo
della medaglietta.
“Max..?” chiese, voltando
la testa giusto il tempo per rivolgersi all’occupante del bagno. Il quale
doveva avere percepito l’allarme nella voce, perché un attimo dopo spuntò la gigantesca testa di
un drago dalla porta.
“Mio Signore! Cosa
succe-oh?”
“Già. Oh.” Stargod studiò
la creatura ai raggi X. “Niente di alieno. Ossa, organi, sistema nervoso…o è un
cane o è uno Skrull per quel che ne so.”
“Cos’è uno Skrull?” chiese
Max, grattandosi la testa.
“Extraterrestri mutaforma.
Ma la Godstone…” si toccò la gemma che brillava scarlatta alla sua gola
“…avrebbe rilevato un’intrusione dall’esterno del Microverso-ehi! Buono,
bello!” il cane aveva deciso che quel grosso lupo gli
era simpatico. Pareva magrolino, ma era tutto muscoli, e li usò per spingere
giù il lupo e addentargli un orecchio. A John sfuggì un guaito animalesco poco
dignitoso.
Il gioco terminò quando
due enormi zampe dalle scaglie azzurre afferrarono l’intruso per i fianchi. Il
cane uggiolò pietosamente mentre le zampe si agitavano nel tentativo di
liberarsi. “Vergogna, cane! Non si fanno queste cose con il dio! Solo io posso
morderlo!”
Stargod ridacchiò,
massaggiandosi l’orecchio. “Dai, mettilo giù. Zia Evelyn aveva un Malinois
tutto pepe che non faceva che riempirmi di graffi quando giocavamo. E poi lo
sai, guarisco subito.”
Max obbedì. “E’ la prima
volta che mi parli di un tuo parente: escluso tuo padre, non so niente della
tua nidiata.”
“Mamma è morta quando ero
piccolo, e comunque non pensavo ti interessasse: infatti tu stesso mi hai detto
che i draghi tagliano i legami con la nidiata dopo la loro prima caccia.”
Stargod fece cenno al cane di avvicinarsi e gli esaminò la medaglietta.
“Krypto, eh? Che nome strano.”
“Cos’ha di strano? E poi
tu non sei un drago, sei il mio compagno di stormo e ho il diritto di sapere di
più su di te.” Chinò il muso in avanti e gli diede un bacio sulla guancia.
Stargod gli accarezzò il
muso. “Magari ti porterò con me sulla Terra quando restituiremo questo
pericolosissimo nemico. Eh, Krypto?” strofinò le nocche sulla testa canina.
“Che nome buffo. Il tuo papà è uno scienziato? Hm? Hai un fratellino che si
chiama Argo?”
“Worf!”
“Mi—John, è ora di
andare.”
Stargod sospirò. Un atto
di volontà lieve come un batter di ciglia, e la familiare armatura verde e oro,
corredata di tutte le sue armi, inclusa la faretra, apparve sul suo corpo. “Non
dovremmo occuparci di—“ guardò Krypto
“No.”
“Ma dobbiamo sapere se—“
“Lo chiederai a Lambert mentre
siamo in viaggio, amore mio. Niente scuse.”
Il lupo sbuffò. “Va bene,
ma lui viene con noi.”
MARVELIT presenta
Episodio 32: Stai attento a quello per cui preghi…
1.
Il
bancone di marmo correva da un lato all’altro della vasta stanza. La sua
superficie era occupata da un profluvio di oggetti legati a quell’ambiguo mondo
a metà tra la scienza e la magia che era l’alchimia –fornelli, alambicchi,
provette, giare il cui contenuto era meglio non elencare, ciotole piene di
polveri minerali ed organiche…sembrava impossibile trovarvi un qualsivoglia
ordine.
A
meno di essere un mago. E l’uomo in rosso dai capelli e baffi argentati ne aveva
maturata, di esperienza, da potersi muovere con gesti sicuri e fluidi mentre
lavorava ad una nuova preparazione quasi senza accorgersi del movimento delle
mani…ed ecco, solo un altro goccio di infuso di Verdena per ottenere—
<Lambert!>
Non
fu tanto la voce che irruppe nei suoi pensieri, quanto l’urgenza nel suo tono!
Lambert rovesciò solo poche gocce del contenuto della fiala sulla mano, e il
terribile distillato corrose tessuti, vene, arterie, ossa, fino a lasciare
niente altro che un informe moncherino gocciolante. Il mago sospirò, scuotendo
la testa.
<Ti
chiedo scusa. Non intendevo…>
“Penso
sempre che un dio non debba mai scusarsi, mio signore,” lo interruppe il mago,
voltandosi per dirigersi verso un altro bancone non meno attrezzato. “E
comunque, lo sai che mi sono abituato a perdere le mani. Almeno, stavolta,
posso farmele ricrescere. Oggi è giorno di preghiera, cosa ti affligge?”
<Te
lo mostro: ah, spero che tu non stia maneggiando qualcos’altro di
pericoloso.>
E
attraverso il collegamento telepatico, Lambert vide. “Un cane bianco con una
mantellina. Perché lo trovi allarmante, mio—John?”
<E’
apparso nel mio letto. Dal nulla. E no, non ho sviluppato un’insana passione.
Era lì. E basta. Un normalissimo cane fino all’ultimo ossicino.>
Lambert
osservò ancora una volta la proiezione del cane seduto, mentre da un cassetto
estraeva uno stampo della propria mano. “La Godstone ha percepito tale
intrusione?”
<…>
“Te
la stai toccando, vero?”
<No,
il mio allarme antintruso non ha funzionato. Per questo sono preoccupato.>
Lambert
appoggiò il polso allo stampo. Con la mano destra, da una caraffa versò nello
stampo qualcosa che sembrava un lattice. “Potrebbe trattarsi di un fenomeno di
sovrapposizione planare. Richiede un potere enorme quanto sottile. Scelta originale
del soggetto, tuttavia. Il cane si è dimostrato ostile? Pericoloso?”
<…no,
anzi. E’ un giocherellone, e in questo momento se ne sta bello accucciato in
grembo nella sua mantellina. Non ha minimamente paura del volo e la mantellina
è molto isolante. Ma-->
“Allora
crucciarsi è inutile, John. Ci sono interi eserciti che pattugliano Altro Regno
per tuo conto, armi e magie sempre pronte a fare la loro parte…” il ‘lattice’
si coagulò nella forma di una nuova mano, perfetta. Lambert la fletté un paio
di volte, soddisfatto del risultato. “Dedicati ai tuoi fedeli, lascia a noi il
compito di preoccuparci.”
---
<Ti
ho mai detto che sei insopportabilmente zen?>
<La
settimana scorsa, quando ti ho convinto ad accettare il Principe Ssylak nella tua squadra.>
L’uomo-lupo
roteò gli occhi e interruppe il contatto. Gli piaceva anche solo scambiare
quattro chiacchiere con Lambert, il vecchio mago era la cosa più vicina a una
figura paterna che avesse mai avuto. Di J. Jonah Jameson, per quanto gli
dispiacesse quando ci rifletteva, non aveva esattamente molti ricordi felici…
Un
sobbalzo nella sua monta riportò la sua attenzione alla situazione corrente. Il
suo drago stava spalancando le ali per l’atterraggio nella piazza del mercato,
tra due ali di una folla di passanti e mercanti.
La
gente non andò in visibilio, non ci furono salti di gioia e lordi o
invocazioni, ma usando al minimo la sua telepatia, John poteva percepire la
loro felicità, il loro orgoglio. Lui era lì per loro, e loro non volevano
deluderlo comportandosi come questuanti privi di dignità.
Erano
momenti come questo che ricordavano a John quanto fosse alieno questo posto.
Non doveva mai abbassare la guardia e sovrapporvi i propri valori, e con
qualcuno con il suo potere era come camminare ogni minuto su un terreno minato.
Il
dio-lupo smontò dal drago con un balzo. Alla spicciolata, alcune persone
vennero a porgergli i propri omaggi che lui accolse con cenni del capo o, come
nel caso di alcuni bambini, con una carezza alla testa. Meno male che qui non c’è Internet. Non sopporterei di finire in un
meme da santino! Ma se sulla Terra sarebbe apparso al limite del
parodistico, qui era solo una piccola cosa che un dio faceva per la sua gente. Credo che Steve morirebbe di vergogna dopo
cinque minuti!
Azoria
era una delle grandi metropoli di Altroregno, nuclei sofisticati di una rete di
macrofeudi. L’intero pianeta, con la sua inclinazione assiale erratica a causa
delle sue tre lune, non solo aveva un giorno più corto, ma le maree erano una
forza terrificante con cui confrontarsi, e l’inclinazione assiale subiva
influenze non meno drastiche, portando il dominio ora del gelo, ora del
deserto… Non era sorprendente che un dio vivente, presente, capace di aiutare
la gente a sopportare la furia degli elementi, fosse adorato senza riserve.
Una
responsabilità non meno terribile. John era grato a Peter per avergli mostrato
col proprio esempio cosa significasse affrontare la vita per le corna.
Il cane cominciò ad
aggirarsi dappertutto. Posto nuovo!
Tantissimi odori nuovi! La gente non gli badava. Niente scoiattoli, niente
gatti. Ohh, odore di cibo appena cotto, buonobuonobuono!
Stargod diede una pacca
sul fianco del drago. <Max, per favore, assumi una forma più adatta e stagli
addosso: se devo fare il mio dovere divino, non vuoi che passi la giornata a
rincorrerlo, vero?>
Il gigante rettiliano
sbuffò. <Va bene, ma poi mi devi un favore speciale: lo sai che odio separarmi
da te.>
<A chi lo dici. Ora
vai.>
Max si ridusse alla
propria forma intermedia, antropomorfa, e fece quanto detto.
Stargod sospirò –sì,
odiava essere separato dalla sua metà, ma era anche ora che cominciasse ad
orientarsi da solo. Niente telepatia, però: doveva aspettare che fossero i suoi
fedeli –ce la fai, coraggio, *sono*
fedeli e tu non sei un mostro assetato di potere!– si avvicinassero.
Rimase
però sorpreso alla vista di…un ragazzino. Non avrà avuto più di 15 anni, ma già
parlava come una persona più matura. A mani giunte, disse, “Mio Signore, chiedo
che tu protegga mio padre. Ha scelto di muovere la sua carovana fuori stagione
lungo il deserto di Kress, e le tempeste di sabbia possono toglierti la carne
dalle ossa, lo sai. Sta correndo un rischio terribile, lo sa, e anche se nel
suo ultimo messaggio…” Turbato dall’angoscia del ragazzo, Stargod aveva toccato
la sua mente quel tanto che bastava per vedere –vedere, come in una serie di
fotografie, l’accesa discussione con la moglie mentre pensavano che i figli
dormissero, l’uomo che cercava di rincuorare il figlio, ma che aveva parlato di
non potere pagare altri interessi a chi gli aveva prestato i soldi per la
carovana se l’avesse tenuta ferma, il messaggio giunto con un uccello… “Lui mi
ha detto che non dovevamo correre da te, che doveva affrontare le sue scelte,
ma se muore…”
Un
ragazzino che parlava di interessi e di contratti…ma, di nuovo, era difficile
che in casa si parlasse di sport, fumetti e videogiochi. Si faceva scuola, a
casa.
Ma cosa posso fare, io? Non sono onnisciente. So dov’è
il deserto di Kress, ho studiato notte e giorno ogni mappa, ma non posso agire
a simili distan-!?
Ma a
quel punto, Stargod non era più nella piazza del mercato.
Dove diavolo..?
Era
in una foresta. In una lussureggiante foresta, circondato di alberi massicci,
maestosi, così vicini tra loro e dalle fronde così intrecciate che la luce
passava come oblique sciabole abbaglianti. La temperatura era fresca, la
corrente faceva stormire pigramente le fronde. Ovunque c’era odore di terra, di
umidità, di legno e clorofilla che il naso lupino di John percepiva in ogni
sfumatura. Era…meraviglioso. L’iniziale momento di perplessità scemò,
sostituito da un inedito senso di familiarità.
Casa.
“Benvenuto,
John Jameson,” disse una voce profonda, quasi gutturale, simile alla sua.
Stargod
si voltò di scatto. E si trovò a contemplare un altro uomo-lupo, seduto su uno
dei rami. Gli assomigliava talmente che avrebbe potuto essere suo fratello…solo
che era nudo.
“Ah…”
le orecchie di John si agitarono di riflesso, indeciso sul cosa dire.
“Benvenuto,
John Jameson.” Dietro di lui! E stavolta era una femmina, bianca anche lei,
nuda anche lei. E poi ancora un altro, e altre due, e…
Con
un poderoso frusciare e uno scricchiolio di cento rami, dalle ombre emerse una
visione inaspettata. “Sei un drago!”
La
creatura era abbastanza ‘piccola’ da muoversi senza distruggere alcunché. Le
sue scaglie erano scarlatte come rubini. E c’era qualcosa di più…delicato in
quella creatura rispetto a-
“Shyron,”
l’interruppe il drago. “E’ il suo nome segreto, hai diritto ad usarlo. Io sono
Toryja. Benvenuto, John Jameson.”
Il
licantropo in armatura annuì. “Me lo state dicendo in tanti, ma benvenuto
‘dove’?”
“Noi
la chiamiamo la Dimora,” disse il lupo seduto in groppa al drago. “Quando la
nostra vita giunge a termine, è qui che veniamo. Tu e Shyron potete
considerarlo per ora il vostro tempio, quando volete parlare con qualcuno che
vi capisca.”
“La
Dimora è dentro la Godstone? Perché non vi ho…mai visti, prima d’ora?” Se stava
avendo un’altra allucinazione psicoanalitica…
“No,
è un altro piano di esistenza. E non ci hai incontrati fino ad oggi perché temevi
il tuo ruolo, temevi te stesso, il tuo potere –e quando, portato sottilmente
alla follia dalle pozioni dell’alchimista, uccidesti un uomo, ti chiudesti del
tutto a noi.”
John
lo ricordava, non lo aveva mai dimenticato. Era stato manipolato come un dilettante
da un noto criminale, fin dall’inizio. Diablo
voleva la Godstone, e per poco lui non l’aveva mollata di sua volontà.
Diablo
aveva commesso un grave errore, però: aveva dimenticato che Stargod era un telepate. Messo sull’attenti dall’Empatoide, prima di precipitare in un
delirio psicoanalitico imbastito dall’alchimista, aveva intrappolato lo stesso
in una finzione –e la ‘vittoria’ di Diablo si era rivelata vacua quanto le
colpe che il dio si era autoinflitto…
“Lambert
ti ha aiutato a guarire,” disse una delle femmine, toccandogli la spalla. “Hai
accettato il tuo ruolo, sei a casa. E noi siamo pronti ad aiutarti.”
Stargod
si sentì come attraversato da una scossa elettrica. “La carovana! Devo trovare
il modo di salvarla! Non posso deludere quella famiglia!”
Decine
di teste annuirono come una. “Siamo qui per questo,” disse Toryja. “Seguimi.
Non è troppo tardi: qui il tempo scorre diversamente; tu sei ancora sulla
piazza, e non è passato neanche un microsecondo. Vieni.”
John
la seguì. Il corpo di lei disegnava il sentiero. Le foglie scricchiolavano
sotto i suoi stivali, l’erba solleticava le dita scoperte…
“Sei
una femmina?” chiese Stargod
“Sì,”
rispose il lupo seduto su di lei. “Come tu e Shyron, abbiamo sperimentato la
fusione di corpo, mente ed anima. Siamo stati i primi a saldare il legame tra i
draghi e i lupi nella prima alleanza. Erano tempi più…movimentati.”
“Non
stento a crederlo.” C’era altro che avrebbe voluto chiedere, ma per ora era
solo felice di scoprire di non essere l’unico ad essersi innamorato di un
drago. E Shyron era un bel nome.
“Perché il nome segreto è così breve? Insomma, mi si accartoccia la testa solo
a pronunciare quello vero.”
Toryja
ridacchiò, un verso rombante e scoppiettante come il fuoco di un camino. “I
nostri nomi mondani parlano della nostra nascita, del nostro clan e del nostro
elemento. E ad essi si aggiunge il nome guadagnato nella prima caccia o
battaglia. Nel nostro nome c’è la nostra vita. Il nome segreto è quello del
nostro spirito, ed è potente, e neppure chi lo porta lo divulga. Nella mente
sbagliata, può essere uno strumento di costrizione. E’ un segreto dei draghi, e
altrimenti solo un residente della Dimora può rivelarlo, e per entrare nella
Dimora bisogna essere, be’…degni.”
Toccò
al lupo di ridacchiare. “’Degno’. Eh, è una parola che troppo spesso non ho
associato a me.”
“L’umiltà
fa onore a un dio,” disse il lupo seduto sul drago. “Ma ora basta lasciare che
essa ti schiacci. Sei degno, siine fiero. Osserva.”
Un
attimo prima di quella parola, Stargod percepì sotto i piedi il calore e la
consistenza della sabbia.
Al
termine del bosco ora c’era il terribile deserto di Kress, una distesa di
sabbia e ossidiana levigata da millenni di erosione. Sabbia come quella
marziana, frastagliata e tagliente, e lame che dal terreno si protendevano
pronte a reclamare la vita degli incauti nelle tempeste che accecavano lo
sguardo. Muoversi ‘fuori stagione’ era quasi sempre una condanna a morte;
quanto doveva essere disperato, quell’uomo, per correre un simile rischio?
Stargod
voltò lo sguardo verso il rombo del vento. La tempesta era vicina, e la
carovana si muoveva quanto più velocemente possibile, ma le bestie da traino
erano massicce, lente. I carri erano pesanti, rigonfi di merce. Uomini e donne
erano stanchi per la marcia forzata. Non sarebbero sopravvissuti.
In
tanti stavano pregando, li sentiva. Non lo vedevano mentre gli passavano
accanto, i volti coperti dai lunghi abiti e dalle sciarpe, ma pregavano
intensamente. Solo un miracolo, uno solo, per arrivare alle grotte che li avrebbero
protetti fino alla fine della tempesta. Mancava così poco, solo un aiuto, solo
un altro passo, Mio Signore…
John
fece fatica a separare la propria mente da quella dei carovanieri. Fu in quel
momento che capì davvero cosa significasse essere un dio –non era solo dei
poteri e un titolo.
“La
prima volta è sempre così,” disse Toryja. “Ti ci abituerai. Ma ora sai cosa
devi fare.”
Nella
piazza, tutti videro il dio scoprire i denti in una smorfia feroce, e
spalancare gli occhi, che brillarono di un’intensa, familiare luce cremisi!
Nel
deserto, il vento assassino turbinò intorno alla carovana come se si fosse
aperto un corridoio! La gioia degli uomini e delle donne investì John come un
balsamo, mentre moltiplicavano i loro sforzi per arrivare alle caverne che li
avrebbero protetti –e a quel punto, che il vento soffiasse più forte che mai.
John
percepì la cacofonia di pensieri, di ringraziamenti, di giuramenti di non
sprecare questo dono, e avrebbe voluto rispondere a tutti, uno per uno, ma si
limitò a guardarli passare.
“Ingegnoso,”
disse il cavalcadrago. “Io estinsi il vento, in un’occasione simile, ma il
tempo su mezzo mondo impazzì completamente.”
John
gli rivolse un sorriso. “Astronauta. Lo studio della meteorologia è
fondamentale nel nostro mestiere.” Sospirò. “Grazie, grazie davvero.”
“Non
c’è di che,” disse Toryja. “Un giorno toccherà a te aiutare il tuo successore.
E torna quando vuoi, so che hai ancora tante domande da fare, e noi siamo qui
per rispondere.”
E
prima che John potesse aggiungere altro, scoprì di essere tornato sulla piazza
del mercato. Dov’era però sempre stato…stupidi paradossi mistici!
“Mio
Signore..?” chiese il ragazzino, esitante.
Stargod
gli accarezzò la testa. “Sono al sicuro. Domani usciranno dal deserto e presto
saranno a casa. Di’ a tuo padre che è fortunato ad avere un figlio
disobbediente.”
Quello
annuì, e strinse il lupo in un abbraccio forte. “Grazie!” E poi corse via,
ridendo.
<Sento
il tuo cruccio, mio amato,> disse il drago. <Eppure ho visto attraverso
il nostro legame che hai fatto una cosa buona.>
<E’
solo che è stato così…facile, Shyron,> rispose a mente. <Da quando mi
sono sbloccato, plasmare il mio potere è quasi diventato una seconda
natura.>
<Devo
ricordarti che una volta hai letteralmente impedito al nostro universo di
collassare? Queste dovrebbero essere sciocchezze.>
<Hai
ragione. Intendevo dire che temo solo di lasciarmi prendere la mano… Bene,
vediamo chi altri…Shyron? Er…tutto bene?>
Era
un po’ inquietante vedere un drago adulto di diverse tonnellate con gli
occhioni da Bambi e i pugni stretti l’uno contro l’altro, il muso contorto in
un’espressione di gioia prossima al fanboying puro. “Mi…mi hai chiamato per
nome…il mio nome segreto…”
Stargod
annuì, ancora perplesso: “Uhh…sì? Ah, già è che è successa questa strana
cosa—ERK!” Un attimo dopo si trovò sollevato e stritolato in un abbraccio
spezzametalli!
“Non
m’importa! Mi chiami per nome! E un giorno imparerai a pronunciare il mio nome
di vita e lo canteremo in una bellissima tempesta!”
“...costole…”
“Oh!
Scusami!” lo lasciò andare di colpo. Un istante dopo si sentì come un tonfo
metallico, seguito da un uggiolio. “…sedere…Ow…”
Shyron
giocherellò imbarazzato con le dita. “Ah…scusami di nuovo?”
Stargod
si mise in piedi, desiderando di togliersi l’armatura per massaggiare la parte
offesa. “Niente che una settimana di chiropratica non possa sistemare…Ma dove
hai messo il cane?>
In
tutta risposta, quello spuntò dalle scapole del drago, abbaiando. Questa grossa lucertola è molto meglio di un
cavallo! Voliamovoliamovoliamo! E si mise ad uggiolare, guardando in cielo,
quasi ballando sulle zampe.
Shyron
sospirò. <Ho visto abbastanza pulcini fare così per non sapere cosa vuole.
Ce la fai a non commettere errori?>
Stargod fece un cenno di
saluto. <Sto prendendoci la mano. Ora andate.>
Due battiti delle potenti
ali, tra banchi e chioschi arruffati pericolosamente, e il drago si levò in
cielo…
…in tempo perché le
orecchie lupine cogliessero un verso di dolore! La preghiera di aiuto giunse un
momento dopo: veniva dall’officina in angolo, all’inizio di una delle quattro
arterie che si collegavano alla piazza. Preghiera o no, non l’avrebbe ignorato.
Povero Peter, come dev’essere stare coi
sensi attenti ad ogni minimo problema, sapendo per giunta di dovere fare delle
scelte in una città che sminuisce questa?
Stargod
giunse all’officina. Due ragazzi stavano assistendo un uomo seduto su una
panca. Era talmente robusto che avrebbe potuto fare a braccio di ferro con
Ssylak. Indossava un grembiule di cuoio. Neanche un capello in testa. Si
reggeva l’avambraccio gonfio e violaceo senza emettere un lamento, e trovò
anche la forza di sorridere alla vista del lupo. “Mio Signore. Non dia retta ai
miei figli, è stato un incidente, purtroppo succede col nostro lavoro. Un po’
di veleni del nostro medico e starò benissimo, davvero.”
Stargod
osservò il corpo dell’uomo attraverso i raggi X, e vide quanta triste verità
c’era in quelle parole. C’erano diverse fratture, rinsaldatesi naturalmente,
che suggerivano la giovane età in cui se l’era procurate. “Ti credo. Ma non sto
esaudendo una tua preghiera…” si voltò a guardare i ragazzi che dalla soglia
dell’officina fissavano la scena con tanto d’occhi, senza profferire parola.
“Posso chiedervi di procurarmi un pezzo di ferro? Ve ne sarei grato.” E nel
frattempo, preso delicatamente l’avambraccio dell’uomo tra le mani, disse, “Ora
te la riduco. Farà male solo un attimo.”
Dall’officina
si udì un vibrante suono di ferraglia. Tornarono poco dopo con quanto
richiesto.
Stargod esaminò il pezzo
–perfetto! “Mai fatto un gesso?”
“Ah…cos’è un ‘gesso’?”
“Oh, è un sistema per
tenere fermo il braccio mentre l’osso si salda naturalmente. Un paio di – no,
niente settimane nei calendari di Altroregno! “Dicevo, una ventina di giorni e
tornerà come nuovo, e…cosa succede?” chiese, allarmato dal pallore del
pover’uomo.
“Mio Signore, ti ho fatto
qualcosa di male? Perché mi puniresti così?”
Stargod sbatté le
palpebre. “…punirti?”
“Non posso stare fermo
tutto quel tempo. I miei figli sono troppo giovani per prendere il mio lavoro.
Perderò i miei clienti se non rispetto le consegne!”
“Oh!” John si concentrò un
momento. Un attimo dopo un tintinnante sacchetto di cuoio gli apparve nel
palmo. Lo porse all’uomo. “Ecco. Sc-nonscusartinonscusartiildiononsiscusa.
Con queste potrai pagare qualcuno che lavori al tuo posto, sotto la tua guida,
fino alla guarigione.”
Il fabbro parve ancora più sconsolato. “Ma così quella
persona carpirà i miei segreti! Mi ruberà i miei clienti appena avrà lasciato
l’officina se non lo uccido prima!”
Al lupo venne voglia di
strapparsi la faccia. Ma perché certa
gente vuole conquistare il mondo?!?
<Problemi, mio
amato?> chiese la voce di Shyron. Una voce mentale, ma indubbiamente
divertita.
Lui quasi si mise a
ringhiare. <Non osare suggerire! Ce la posso fare senza scatenare una guerra
santa sui diritti dei lavoratori!>
<Allora pensa in fretta
prima che giungano alle conclusioni sbagliate.>
Pensare in fretta. Ah, sì! Potrei provare a sistemare
la frattura con la—
<Neanche quello, soprattutto quello!> Qui la voce del
drago aveva assunto un tono severo che lo colse di sorpresa. <Prima lezione:
i possessori della Godstone possono compiere miracoli, ma non violare le leggi
di natura.
Lui aggrottò la fronte.
<E…un miracolo non è di per sé una violazione delle leggi di natura?>
<Un miracolo è frutto
della necessità, la guarigione un frutto della vita. Perché credi che gli
Stargod prima di te siano morti di vecchiaia? Anzi, che siano morti?>
John si morse il labbro
inferiore, realizzando una verità che aveva sempre avuto letteralmente sotto
gli occhi. <Tutto questo potere…di cui siamo custodi, non padroni.>
<Esatto. Anche per
questo un dio non è padrone della sua gente. Per questo Arisen Tyrk e i suoi
accoliti sono rinnegati: con le loro tecnologie avevano violato quei limiti. I
Cavalieri di Stargod sono sempre esistiti per ricordargli che Egli non è solo
nella difesa del regno.>
Considerazioni che
chiamavano altre considerazioni…troppo a cui pensare, adesso. Poteva solo
sperare che i ‘veleni’ di cui parlava il fabbro fossero metaforici, e che la
scienza erboristica fosse molto più raffinata che sulla Terra.
Il dio-lupo tornò a rivolgersi
al fabbro. “Sono un dio rinato in un altro mondo, e sto imparando molto, amico
mio. Lascerò che sia il medico a curarsi di te…” vide l’uomo quasi accasciarsi
per il sollievo. “Ma mi permetti di esaudire una piccola preghiera della tua
prole?”
L’uomo annuì con
convinzione. “Ne sarò onorato, mio Signore.”
“Ottimo. Scusami, ci vorrà
un attimo…” mentalmente, estrasse dalla mente del fabbro i progetti dei lavori
che lo aspettavano di lì a un mese, quelli che in queste condizioni non avrebbe
potuto svolgere –almeno per quel che ne sapeva.
Si voltò verso l’officina,
e fissò i pezzi di metallo che attendevano il fuoco e il martello. Si
concentrò.
Sotto gli occhi sgranati
dei ragazzi e dell’uomo e dei passanti, il metallo si levò in aria e cantò una
canzone di fuoco e contorcimenti e impatti. Era come osservare la formazione di
un sistema solare in miniatura –solo che qui si formavano attrezzi, armi, pezzi
di armatura senza alcuna contaminazione che non fosse l’aggiunta del carbonio,
un pezzo dopo l’altro, fino ad ottenere trenta giorni di lavoro ben disposti
sulle rastrelliere, pezzi di una luccicante qualità che neanche un impianto
industriale sarebbe riuscito a sfornare!
E che diamine, se uno non usa i superpoteri per fare
anche queste cose..! “Ecco, mio buon
fabbro: venderai i pezzi forgiati da un dio, e se i tuoi clienti saranno onesti
ti daranno qualcosa in più. Posso solo consigliarti di sforzare quel braccio il
meno possibile fino ad allora, questo almeno per me lo farai?”
In risposta, l’uomo si
alzò in piedi. “Un giorno saprò compensarti adeguatamente. Concedimi almeno
questo.”
Stargod stava per
rispondere, quando qualcosa oscurò il sole! Il vento che solo il batter d’ali
di un drago poteva generare agitò la via, e come tutti gli altri Stargod
sollevò la testa, non percependo la presenza di Shyron.
Questo drago
era non meno grande, una bestia nera come la notte e dalle scaglie ventrali di
un blu scurissimo, gli occhi rossi come il fuoco che ardeva nelle sue fauci.
Ma era il suo cavaliere
che riscosse l’attenzione del lupo: una donna, una donna vestita da una corazza
argentea che pareva dipinta sulla sua figura. La sola parte scoperta visibile
da terra era la testa, nerissima e lucida, completamente calva, l’occhio destro
coperto dal nero tatuaggio di un lupo ringhiante. “STARGOD!” disse con una voce roboante come il tuono. “STARGOD, IO SONO ADYANA DI AL-MOURNHELM! E
SONO GIUNTA A TE CON UNA PREGHIERA NEL CUORE! PRENDIMI IN SPOSA!”
Ed ora qualcosa di
completamente diverso!
2.
Al-Mournhelm
Mournhelm è conosciuta
come la fucina dei guerrieri. E’ qui, in questa regione aspra tra le giungle ed
il mare, che nascono e si addestrano i difensori del regno che combatteranno al
fianco di Stargod. Il loro principe, Garth,
è la guida di tali genti, campione tra i campioni, come ci si deve aspettare da
un Cavaliere di Stargod.
Mournhelm è una terra
bellissima a vedersi, letale da vivere per chiunque non ci sia nato. E’ già
un’impresa arrivare all’età adulta.
Al-Mourhelm è…peggio, a
seconda dei punti di vista.
Al-Mournhelm è la Montagna
Implacabile, la cui cima non è a caso il tetto del mondo: i draghi narrano con
timore che quando Antesys il Progenitore forgiò Altroregno, creò Al-Mournhelm
dal più terribile mare di fuoco perché solo i cuori più coraggiosi potessero
raggiungerne la cima.
Più prosaicamente,
l’immenso dente di roccia è il risultato della seconda, cataclismatica
collisione che diede vita a due delle tre lune che oggi orbitano Altroregno.
Come Mimas, la luna di Saturno, Altroregno ancora presenta i resti di
quell’impatto, anche se solo un drago può volare abbastanza alto per apprezzare
la vista. Perché è qui che i draghi nidificano, questa è la loro prima patria.
Al-Mournhelm: altezza
12.342 metri. Non importa quale sia la posizione assiale di Altroregno, il suo
confine superiore, ai limiti della troposfera, è battuto da venti gelidi a
-45°, secchi e implacabili. L’umidità è pressoché assente, la sola acqua si
trova nelle regioni inferiori della montagna, nei suoi ghiacciai eterni.
La cima di questo colosso
della natura è l’ultimo posto al mondo dove si potrebbe pensare di trovare la
vita oltre la scala microbica.
La vista di un intero castello incassato nella roccia, scavato
pietra dopo pietra come fosse una protuberanza organica della montagna stessa,
fa capire che vivere quassù è un privilegio pagato a carissimo prezzo.
E’ qui che nasce la più
antica élite guerriera, qui nascono e si temprano le amazzoni che guidano i Cavalieri di Stargod, le Spose di Stargod.
“Gran Visir, cosa
significa che non sono adatta?!”
La donna in piedi davanti
ai merli, come ogni altro abitante del maniero sul tetto del mondo, era alta,
slanciata, la pelle nera e lucida dei cristalli dermici che assorbivano la
preziosa luce solare che dava loro nutrimento. L’unica cosa che portava indosso
era un elaborato, armonico gioco di rune che brillavano di luce propria. Sul
petto brillava un tatuaggio bianco a forma di testa di lupo ringhiante, la
bocca aperta all’altezza del cuore.
“Significa,” rispose lei,
calma, senza voltare lo sguardo dall’orizzonte lontano dove i draghi volavano
liberi, “che puoi essere Suo Cavaliere, ma non Sposa, Adyana. Il dio ha legato
con un drago, non ha più posto per qualcun altro. Questa generazione non vedrà
la nascita di un nuovo candidato alla Godstone.”
“Ma come posso essere suo
Cavaliere?! Lui ha già la sua compagnia, composta da quegli alieni—“
“Non più.”
L’ira della donna si
dissipò così rapidamente da sembrare comico. “Come..?”
“Due di loro sono tornati
sul proprio mondo: il Seminatore di Morte[1]
e Iron Monger, ed è passato
abbastanza tempo per desumere che non torneranno. Come vedi, almeno un posto è
libero. Dimostratene degna.”
“E in cosa mancherei,
ancora? Il mio percorso è completo, lo sai!”
Lei si voltò a guardarla,
con un movimento appena accennato del capo, ma come quando era solo una
bambina, Adyana si sentì trafiggere. “Temperanza. Il tuo cuore è dalla parte
giusta, ma la tua mente guarda nella direzione sbagliata. Se sei leale al dio,
non lasciare che la tua ambizione ti consumi.”
Adyana abbassò la testa,
serrando i denti. “Così sarà, Gran Visir. Partirò quanto prima.” Non avendo
altro da aggiungere, si voltò e si allontanò rapidamente.
Quando era così agitata, una
buona lettura era la sola cosa che riuscisse a distrarla. Se avesse cominciato
a meditare, sarebbe impazzita definitivamente!
Almeno, la scelta non
mancava: nel corso dei secoli, la montagna era stata scavata anche per
ricavarne una biblioteca che non aveva mai smesso di crescere, raccogliendo il
sé il sapere e la storia di ogni popolo e dei suoi maghi. Si poteva dire che
Al-Mournhelm fosse l’equivalente di una Biblioteca Globale.
Terminata la lunga scala a
chiocciola, Adyana accedé al primo dei cinquanta livelli. Fu accolta subito dal
familiare e rilassante odore dei tomi conservati dal gelo e dal buio. Il sapere
racchiuso là dentro era come una forza avvolgente; quante volte Adyana, come
tante Spose prima di lei, aveva percorso queste stanze, ci aveva dormito,
entrando bambina ed uscendo ragazza…
Ma basta con i ricordi, ora voglio solo leggere
qualche avventura, ed uscire solo quando avrò fini--
<Perché perdere
tempo?>
Adyana sobbalzò,
guardandosi intorno. Voce mentale! Chi..?
<Sono qui.>
Poi, come attratti da un
magnete, gli occhi andarono verso…il libro. Un volume dalla costina in pelle di
drago, donata dal suo proprietario come per ogni altro volume. Alla luce degli
organismi fotofori, esso era visibile come un qualcosa di più nitido in mezzo
alla nebbia. Adyana si scoprì come irresistibilmente attratta da quel volume.
<Molto percettiva, mia
cara. Dunque non mi sbagliavo, sei una maga.>
Lei si avvicinò al volume.
Lo estrasse. Era antico, indubbiamente. Non recava alcuna incisione, alcun
segno che tradisse il suo autore…o il suo contenuto. Due bande metalliche lo
tenevano saldamente chiuso. “Sono una Sposa di Stargod, sono maga e guerriera.
In me scorre la magia del sole e la forza della montagna. Tu chi sei?”
La voce mentale aveva un
che di suadente, a suo modo. <Per scoprirlo, devi aprire il libro. Le bande
non possono essere aperte con la forza bruta: decifra le rune, e saprai.>
Adyana non riusciva a
capire: che ci faceva lì un libro posseduto?
Non era questo il suo posto, simili oggetti dovevano trovarsi in un’area
sicura, sotto la custodia dei templari di livello più elevato, non—
<Comprendo i tuoi
timori, sposa di Stargod, chiunque questo Stargod sia, ma-->
A quel punto lei sgranò
gli occhi in genuina sorpresa. “Non lo sai?!
Da dove mai vieni per non sapere ciò che sanno tutti del Salvatore?”
<O forse la domanda è
da quando vengo, mia giovane
creatura. Perché non usi la tua magia per osservarmi meglio? In fondo, non c’è
niente come l’ignoto per ispirare diffidenza.>
E Adyana si scoprì ad
annuire. Del resto, fin quando quel libro fosse rimasto ben chiuso, era chiaro
che qualunque spirito lo possedesse, non avrebbe potuto commettere alcuna
astuzia…
Chiuse un momento gli
occhi. Quando li riaprì…c’era una seconda
fila di occhi sopra la prima. E al posto delle pupille, rune fiammeggianti.
Lo Sguardo Indagatore, l’occhio della mente e dell’anima per trovare
le menzogne nel cuore dei viventi e le trappole degli incantesimi. La dote che
più accomunava una Sposa al suo dio.
E vide.
Era solo un’ombra, ma
riempiva la caverna con la propria immensità oscura, la suprema presenza di un
drago nero dagli occhi fiammeggianti. Una razza che non aveva solcato i cieli
di Altroregno da tempo immemorabile.
Dapprima di Stargod!
Sulla Terra, ciò che
avrebbe generato terrore in Adyana causò una gioia che le fece dimenticare i
suoi crucci e si sentì sciocca e bambina per esservisi abbandonata. “Grande
signore dei cieli…”
Il drago le sorrise.
<Bambina, mi fai troppo onore. Ora sei disposta ad ascoltarmi?>
Lei annuì.
<Allora aprì il volume.
Non sono abbastanza forte da mantenere il legame in queste condizioni. Mi
affido a te.>
Lo spirito fu riassorbito
dal volume. Adyana, lo Sguardo Indagatore ancora aperto, esaminò la ragnatela
di rune che teneva ben salde le bande. “La forza bruta non può aprirle…”
ripeté. Se anche ci avesse provato, la Gran Visir se ne sarebbe accorta.
Un drago antico! Una
simile scoperta le avrebbe regalato gloria senza fine, persino Stargod ne
sarebbe rimasto impressionato!
Adyana chiuse lo Sguardo e
prese il libro sottobraccio.
<Dove andiamo,
bambina?>
“Non sono una bambina,
sono una Sposa. E ti sto portando in un posto più aperto: se riuscissi a
liberarti qua dentro, ti scopriresti prigioniero, e i danni alla biblioteca sarebbero
incalcolabili.”
<Vorresti essere la mia sposa?>
Mentre già saliva la
scala, per un attimo lei si fermò. “Tu mi stuzzichi, cavalcavento, ma come
potrebbe mai essere? Non sono una dea.”
<E ciò ti toglie la
libertà di scelta? Persino dalla mia prigionia avverto il tuo desiderio. E’
passato tanto tempo da quando un mortale sentiva una cosa simile per me.>
Adyana accelerò il passo,
il cuore lieve dalla gioia. Lei e questa creatura, da prima del dio..!
Terminata la scala, si
ritrovò nella propria stanza, che dava un nuovo significato al termine
‘spartana’. Il mobilio era ridotto alla pura funzionalità, niente di vezzoso,
niente che indicasse un tocco della personalità di chi la occupasse. Il tetto
era una lastra cupolare di cristallo così perfetto da essere invisibile.
Posato il libro sul
leggio, Adyana riaprì lo Sguardo.
L’incantesimo era un
lavoro pregevole, scritto in una lingua runica scomparsa. Le ‘trappole’
apparivano a caso come punti luminosi lampeggianti.
“Temo di dovere chiedere
aiuto alla Gran Visir, cavalcavento: e temo che persino lei avrebbe difficoltà
a capire questo linguaggio.
<Un’altra soluzione
c’è…ma temo per la tua integrità, bambina.>
“Non sono una bambina.
Dimmela. Io non temo le asperità della vita.”
<Forgia un legame con
il libro. La comunione con la tua essenza ti permetterà di aprire il libro come
se fosse parte di te. Non sarai visto dalle sue magie come un’estranea.>
“Forgia un legame…” Adyana
capiva cosa gli stesse chiedendo, e una parte di lei lo temeva. Era un dono
pericoloso da offrire, e richiedeva il pieno consenso dell’offerente. La benché
minima esitazione l’avrebbe consumata e resa prigioniera del volume, il corpo
distrutto dal rituale…
Adyana sollevò il braccio,
portando il polso sopra il volume.
In lei non c’era esitazione.
La sua mente era calma. Era dalla parte giusta.
Sollevò l’altra mano a
taglio.
Non era una bambina!
Un gesto secco! E le gocce
di sangue caddero copiose sul volume.
Adyana non avrebbe neppure
avuto bisogno dello Sguardo per vedere le rune di protezione disporsi intorno a
lei, aprendo le loro barriere al suo tocco.
E al suo tocco, le bande
si aprirono con uno scatto delicato
Il libro si aprì
violentemente! Adyana osservò affascinata le pagine che sfogliavano come se un
potente vento stesse soffiando nella stanza…fino a fermarsi di colpo.
Ad un’illustrazione che la
lasciò ancor più di stucco. Un sorriso si dipinse sulle sue labbra, alla vista
del maestoso drago nero che si ergeva dalla sua rocca contro un piccolo uomo.
Una scritta capeggiava sul drago, il suo nome.
MALCHIOR.
“Malchior…”
L’illustrazione…si voltò a
guardarla. E lei sobbalzò di nuovo. <Tale io sono, mortale. E ti sono
grato.>
Lei si chinò sul libro,
accarezzando la pagina con reverenza. “Signore dei cieli, perché sei
prigioniero in questo libro?”
La figura tornò a guardare
l’uomo congelato nell’atto di lanciare una magia. Sotto di lui, il nome ROREK.
<Perché peccai di arroganza contro il mio nemico, lo sottovalutai ed egli arrivò
a sacrificare sé stesso pur di chiudere entrambi in questo maledetto volume.
Ormai la guerra era prossima alla fine, ma non arrivai a vederne la
conclusione. Dimmi…com’è il mondo dei mortali, oggi? Chi è questo Stargod che
ricorre così spesso nei tuoi pensieri?>
Come se fosse appena
tornata sui banchi di scuola, Adyana spiegò tutto quello che le avevano
insegnato, fino ad arrivare al corrente detentore della Godstone.
La maestosa creatura
sorrise. <Ahh, il mondo è davvero
cambiato tanto.>
Adyana stava accarezzando
la pagina. “Malchior, con te al mio fianco mi dimostrerò degna del Suo cuore!
La nostra magia combinata ci renderà fin troppo indispensabili! Potrebbe
persino rinunciare agli alieni che lo accompagnano!”
<Oh. Dunque
rischieresti di riportare sul tuo mondo la magia dei draghi? Non è una
decisione da prendere a cuor leggero, cara Adyana.>
Lei scosse la testa. “Sarà
la nostra magia, Malchior! Legherò la
mia alla tua, se sarà necessario, ma sarai libero da questa insopportabile
prigione! E quando Stargod vedrà di cosa siamo capaci, non potrà che darci la
Sua benedizione!”
La voce di lui accarezzò
la sua mente come velluto. <Sei molto confidente. E’ una qualità che
apprezzo. La mia magia non ammette esitazioni.>
“Cosa devo fare, dunque?”
<Oh, è semplice:
strappa la pagina.>
Il cuore di lei perse un
colpo. “Ma…rovinare un simile lavoro…” E si sentì stupida nel momento in cui lo
disse.
Ma Malchior non sembrò
seccato da quella défaillance. <La pagina è la mia prigione, bambina. Ora tu sei
unita al libro, e puoi strappare la pagina come farei sei fossi al tuo posto.
Solo un avvertimento.>
“E sarebbe..?”
<Allontanati
subito.>
Adyana tirò un profondo
respiro, e afferrò un lembo della pagina. Arcane energie corsero lungo la sua
mano. Decise che non avrebbe rotto tutta la pagina, non da un libro dove poteva
imparare altre cose preziose sulle antiche magie.
Tirò via un angolo.
“Mia figlia sarà in grado
di portare avanti la sua missione, Gran Visir?”
Le due donne procedevano
lungo un corridoio. Il sole entrava liberamente dalle pareti di cristallo,
donando alla loro pelle delle sfumature arcobaleno.
“Adyana possiede una
grande volontà, Jara. Deve solo imparare a—Ngh!” Improvvisamente la visir si
piegò in due, il volto contorto in un’espressione di dolore.
Subito Jara l’aiutò a
sorreggersi. “Visir! Cosa succede?”
“Magia…estranea, potente.
Improvvisa…” ma prima che potesse aggiungere altro, l’intero castello fu scosso
come da un breve terremoto, mentre contemporaneamente si udì un’esplosione! Il
muro cristallino andò in pezzi, riempiendo l’aria di schegge portate dal vento
incessante! Tracce di fumo solcarono l’aria
“Siamo sotto attacco!”
esclamò Jara, già attingendo alla propria magia. “Chi osa--?”
Le mani crepitanti
mistiche energie, si sporse attraverso il muro. E vide da dove veniva il fumo.
“No…”
Al posto della camera
c’era ora uno squarcio esposto agli elementi impietosi. Il libro giaceva,
dimenticato, in un angolo, le pagine fruscianti senza sosta.
A riempire quello
squarcio, la maestosa creatura che Adyana aveva liberato. Si ergeva sulle zampe
posteriori tra le volute di fumo come una statua.
E agli occhi di lei non vi
era visione più bella.
“Sono dunque all’altezza
delle tue aspettative?” chiese Malchior con una voce simile al suono di un
incendio.
Lei si alzò in piedi, a
malapena conscia della distruzione appena causata. “Sì. E anche molto di più,
Lord Malchior. Sono felice che tu mia abbia accettato al tuo fianco.”
Il drago nero annuì e tese
una zampa verso di lei. “Allora andiamo: è ora di conoscere meglio questo nuovo
mondo, e quando tornerai, sarai superiore tra le superiori.”
Adyana salì su quella mano
così grande da poterla stritolare senza sforzo.
Un colpo d’ali, e il drago
si involò nel cielo! Presa confidenza con le correnti, stava già per
allontanarsi, quando Adyana parlò alla sua mente. <Fermo, cavalcavento!>
Lui obbedì. “Cosa
desideri? Esiti, forse?”
<No. Guarda tutte le
persone che si sono radunate. Mostra loro di cosa è capace un antico drago:
ricostruisci ciò che la tua venuta ha distrutto, e non avranno dubbi.>
Malchior ci pensò su,
strofinandosi il mento. “Intrigante…E sia, bambina. Siamo legati, ti basterà
solo pensare ai tuoi alloggi ne loro precedente stato. Il resto lo farò io.>
Adyana annuì, liberandosi
delle emozioni, trasmettendo l’immagine mentale a lei così familiare.
Le zampe di Malchior si
illuminarono, mentre tesseva l’incantesimo…E un momento dopo, come se il tempo
stesso avesse invertito il suo senso, pietre, vetro e legno tornarono a
congiungersi…fino a che di quella distruzione non rimase la minima traccia.
Adyana era sinceramente
impressionata, l’antico l’aveva fatta sembrare così facile, quando persino un
templare incontrava difficoltà con simili magie…
Ora toccava a lei. A un
suo semplice atto di volontà, gli abiti civili furono sostituiti dall’armatura
cerimoniale, con due staffe fissate alla schiena, un mantello bianco e un elmo
a forma di testa di lupo. “Ora andiamo, Malchior. Abbiamo un incontro con un
dio!”
E mentre Malchior si
allontanava rapidamente sulle onde dei venti, si sentì Adyana dire, “E non sono
una bambina.”